Russia, dov’è e che cosa può fare la società civile in esilio — Vita.it

La società civile in Russia sta attraversando senza dubbio il periodo più tragico degli ultimi tempi. La settimana scorsa, contravvenendo a tutte le norme del diritto penale russo, alcuni degli avvocati di Alexei Navalny sono stati arrestati con l’accusa di avere creato una “comunità estremista”, e un altro ha lasciato frettolosamente la Russia. Quasi un milione di attivisti politici, scienziati e personaggi della cultura, giornalisti dei media indipendenti, analisti politici e avvocati hanno lasciato la Russia, volontariamente o forzatamente, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e l’intensificarsi della repressione da parte della dittatura di Putin. La geografia della presenza dei russi in esilio è molto estesa: Uzbekistan, Kirghizistan, Kazakistan, Armenia, Georgia, Serbia, Montenegro, Paesi baltici, Francia, Italia, Repubblica Ceca e Germania. Questi ultimi due Paesi hanno le diaspore più numerose e attive. Di ciò che sta accadendo ora nella società civile russa in esilio ne abbiamo parlato con Alexander Morozov, un famoso politologo russo, ex direttore del Russian Journal. Alexander vive a Praga dal 2014, dopo l’inizio dell’aggressione russa contro l’Ucraina. Collabora con la Fondazione Boris Nemtsov e la Charles University di Praga.

Cosa pensano Putin e la sua cerchia ristretta, ad esempio Nikolai Patrushev? Putin, nel suo discorso al Forum Valdai, ha detto cose irreali e manipolatorie. Qual è lo scopo di questo “carnevale”? Mantenimento del potere o desiderio reale di riorganizzazione mondiale?

Non c’è dubbio che la cerchia ristretta intorno a Putin sia costituita, ovviamente, innanzitutto da collaboratori del consiglio di sicurezza della Federazione Russa, ma anche dell’amministrazione presidenziale. Patrushev (segretario del consiglio di sicurezza) e Kiriyenko (primo vice dell’amministrazione presidenziale, responsabile dell’ideologia) rappresentano i due principali blocchi politici. Insieme a Putin, sono certi che il mondo sia entrato in un’era di crisi, e lo ripetono costantemente nei loro discorsi. Si tratta di una crisi profonda, il culmine dei 30 trascorsi dal crollo dei due blocchi mondiali. E sono fiduciosi che, dal loro punto di vista, la Russia dovrebbe ricevere un posto diverso e nuovo nella formazione di un nuovo ordine mondiale. Sono convinti di stare operando per questo. Naturalmente questa è un’illusione. Prima del 2014, prima dell’annessione della Crimea, il Cremlino poteva davvero, grazie allo sviluppo economico e alla sua posizione geografica, ambire a un ruolo di attore globale a livello mondiale, in senso positivo, ma dopo l’annessione della Crimea, e ancor più dopo l’aggressione del 2022, va detto che la retorica del Cremlino ha preso una direzione totalmente diversa rispetto alla sua reale strategia politica.

Spieghiamolo bene…

Cioè, la vera strategia politica è indubbiamente tutta mirata al rafforzamento dell’isolamento, ad azioni difensive di vario genere nei confronti dell’intero mondo circostante, a difficili tentativi di preservare l’economia, in condizioni di autarchia e sanzioni. E non si tratta solo delle sanzioni, ma anche su scala più ampia di una rottura delle relazioni economiche, per esempio con l’uscita dalla Russia delle imprese transnazionali e così via. In una parola, in realtà, la strategia politica del Cremlino è isolazionista e si sta muovendo verso l’autarchia, mentre le fantasie del Cremlino rimangono al livello, direi, del 2010-2012, agli anni cioè in cui il Cremlino aveva davvero attrattiva economica, era presente in tutte le istituzioni internazionali e lavorava attivamente a livello diplomatico in tutte le direzioni, nel sud-est asiatico, in Africa e in America Latina. Ora, la posizione del Cremlino è questa e si riflette in parte nella retorica, perché la retorica è sempre più conflittuale, è progettata per intensificare e approfondire il conflitto con il mondo esterno. Allo stesso tempo, va sottolineato che forse una parte dell’élite russa crede che il Cremlino sarà in grado di riequilibrare la propria posizione attraverso lo sviluppo di contatti nel sud-est asiatico o con alcuni paesi del “Sud del mondo”, ma in realtà questa è un’illusione. Nonostante il riavvicinamento del Cremlino all’Iran, i tentativi di stabilire nuove relazioni con alcuni regimi africani, i contatti con la Corea del Nord, ecc., non si sta formando alcuna nuova alleanza. E non si sta formando alcuna nuova forza nella politica internazionale.

Quali sono gli obiettivi, o meglio, a chi si rivolgono gli organizzatori e i partecipanti alle conferenze dell’opposizione russa in esilio, ad esempio l’ultima, che si è svolta a Tallinn?

L’attuale repressione in Russia impedisce attività politiche a chi è rimasto nel Paese e vorrebbe fare qualcosa, né di mantenere contatti con coloro che in Russia continuano ad impegnarsi in attività indipendenti a livello della società civile, perché qualsiasi contatto oggi è criminalizzato in Russia. Qualunque tentativo di comunicare con persone rimaste in Russia è estremamente pericoloso per loro, porta immediatamente a perquisizioni e arresti.  Ecco perché abbiamo questa situazione. Esiste un movimento civile russo fuori dal paese, piuttosto ampio. La guerra ha portato a questo soprattutto nell’ultimo anno e mezzo. C’è una emigrazione politica di lunga data all’estero e ora si sono aggiunte molte persone nuove, che fino a poco tempo fa partecipavano alla vita politica in Russia. Quindi ora lo spettro si è molto ampliato, e include molte organizzazioni che hanno iniziato a operare fuori dal Paese: da un lato Memorial, il Centro Sakharov, organizzazioni per i diritti umani, dall’altro personaggi del mondo della cultura che hanno ormai cominciato a sviluppare i propri progetti all’estero, molti registi teatrali e così via. A questi si aggiungono molti partecipanti al “movimento dei comuni”. La Germania ha accolto più di 100 ex deputati comunali fuggiti dalla repressione e che ora stanno organizzando una propria associazione. Vi sono infine membri del mondo accademico, che hanno lasciato molte, molte università, assumendo una posizione attiva fuori dal Paese. Sono persone diversissime, ma che senza dubbio sono anche unite tra loro. Come minimo, condividono tutte una posizione contraria alla guerra, sono contro questa guerra in Ucraina, la considerano un’aggressione da parte della Russia e inoltre sono convinti che Putin abbia usurpato il potere in Russia. Questa è la base, il terreno su cui si innesta un nuovo ampio movimento. Non sappiamo ancora quale forma assumerà. Perché in fondo, il primo anno, c’è lo shock di essere emigrati, ci si osserva, si stabiliscono contatti, si va ai convegni per capire chi è chi e cosa c’è di nuovo.

E poi, che succede?

Direi che questo movimento civile fuori dal Paese non ha l’opportunità di rivolgersi davvero al pubblico russo. Ma i media hanno l’opportunità di raggiungere il pubblico russo, e così avviene. Il fatto è che un’ampia gamma di media indipendenti russi sono finiti all’Estero e, secondo me, circa l’80% dei giornalisti e manager dei media altamente professionali e talentuosi che conosciamo sono attualmente all’estero. Non elencherò i nomi, sono moltissimi: ci sono youtuber famosi con un pubblico di molti milioni di persone e intere redazioni, circa 30 redazioni si sono delocalizzate. E di conseguenza, se prima della guerra (all’esterno della Russia) avevamo Meduza e Insider, ora un folto gruppo di redazioni lavora all’estero. Anche tutti questi media indipendenti fanno parte di questo movimento civile, semplicemente perché i giornalisti che vi lavorano sono cittadini filodemocratici, filoeuropei, anti-Putin e pacifisti che scrivono a partire da queste loro posizioni. Ma anche qui ci sono problemi che voglio sottolineare, di cui si parla molto nell’ambiente dell’opposizione. Questo movimento civile all’Estero è ora in procinto di formare una sorta di coalizione. Mikhail Chodorkovskij sta prendendo questa iniziativa e non è il solo. I principali “uffici” dell’opposizione politica all’inizio di quest’anno, in aprile, hanno raggiunto un accordo tra loro, hanno firmato la cosiddetta Dichiarazione di Berlino e si stanno muovendo verso la formazione di una sorta di coalizione che, secondo i piani, avrà il compito di interagire con le strutture politiche europee, nell’Unione Europea, con i governi nazionali e i ministeri degli esteri e così via.

Torniamo sui media.

Per quanto riguarda i media, c’è l’opportunità di raggiungere il pubblico russo. Ma qui ci sono due problemi, il primo problema è che il Cremlino si sta preparando attivamente a bloccare le vpn (le reti private virtuali, ndr) e a non lasciar passare più nulla (per ora il pubblico russo può guardare i media indipendenti bloccati dalle autorità collegandosi ad una vpn ma dopo che le autorità avranno bloccato le vpn non ci sarà più questa possibilità). Possiamo già vedere chiaramente che le cose stanno andando in questa direzione. E questo, ovviamente, farà crollare le possibilità dei media. Il secondo punto è che i media indipendenti russi sanno che funzionano, anche se su larga scala, solo in una sorta di “bolla informativa”. Cioè, non possono influenzare la parte “non loro” del pubblico. C’è un pubblico consolidato, alcuni dicono che siano 5 milioni, altri dicono 20 milioni di persone. I restanti 60 milioni (se copriamo l’intero pubblico che consuma contenuti di notizie su Internet) non ricevono le informazioni distribuite o create dai media indipendenti. Ma in generale, non c’è dubbio che abbiamo assistito ad un grandissimo risveglio in diversi paesi europei di gruppi civili russi di vario genere, durante l’anno e mezzo di guerra. Ciò è causato sia dal nuovo flusso di emigrazione, sia dall’emergenza catastrofica degli eventi, che ovviamente spingono a prendere una qualche posizione e fare qualcosa, aiutare l’Ucraina, o aiutare i rifugiati ucraini, o svolgere qualche tipo di azione in difesa dei prigionieri politici russi. Questa è la fotografia della situazione attuale.

Come stabilire un’interazione tra l’opposizione russa in esilio, il Parlamento europeo e la Commissione europea? Come commenta l’ultima iniziativa del deputato Andrius Kubilius, la cui bozza è stata presentata al Parlamento Europeo? E quali sono le prospettive generali per i rapporti tra Europa e Russia nel dopo-Putin?

In Europa si tengono in diversi paesi numerose tavole rotonde e consultazioni sul futuro del dopoguerra. All’inizio si trattava di eventi sul futuro dell’Ucraina nel dopoguerra. Questo è un grande argomento separato che viene discusso. E ora, negli ultimi sei mesi, ci sono state molte discussioni e consultazioni sui temi del futuro postbellico della Russia. Su questo tema ci sono due grandi tendenze. La prima tendenza è espressa dalla posizione del presidente ceco Petr Pavel, condivisa da molti. L’ha formulata approssimativamente in questo modo: forse ci sarà una sorta di futuro democratico in Russia, ma noi in Europa non possiamo fare affidamento su questo, quindi dobbiamo lasciarci guidare dal fatto che nei prossimi due o tre decenni l’Europa dovrà concentrarsi esclusivamente nel garantire la propria sicurezza. Secondo molti, dopo Putin, nel futuro post-Putin, il sistema Putin sarà preservato, in una forma o nell’altra. Questa posizione è davvero condivisa adesso, soprattutto sul fianco orientale della Nato, e la Nato sta compiendo molti nuovi sforzi per garantire e rafforzare la sicurezza.

La seconda tendenza, invece?

Il secondo punto di vista è formulato da Andrius Kubilius, ex primo ministro lituano e membro del Parlamento europeo, e non è il solo: con lui anche molti altri politici europei affermano che la vera sicurezza per l’Europa arriverà solo quando la Russia coglierà la sua seconda possibilità di democratizzazione. E quindi oggi dobbiamo sostenere le forze democratiche russe esistenti, i media indipendenti russi, gli attivisti russi per i diritti umani. Questo lavoro, secondo loro, dovrebbe essere di natura a lungo termine, poiché nessuno si aspetta che nei prossimi anni si presenti questa seconda possibilità di democratizzazione. No, sarà un lavoro lungo. Questo secondo gruppo ha tenuto una grande conferenza con discreto successo a Bruxelles nel giugno di quest’anno, la prima conferenza di questo tipo su larga scala, che ha riunito rappresentanti di tutti i rami del movimento civile russo di cui ho parlato prima. C’erano anche i capi dei più grandi media, Galina Timchenko (Meduza) e Tikhon Dzyadko (redattore capo del canale televisivo Dozhd in esilio, dopo l’artificiosa privazione della licenza in Lettonia la redazione si trova nei Paesi Bassi, dove al canale televisivo è stata concessa la licenza di trasmissione), c’erano attivisti per i diritti umani, il Memorial Human Rights Center e Lev Ponomarev, un veterano del movimento sovietico e russo per i diritti umani ora esiliato, c’erano rappresentanti del mondo accademico, diverse fondazioni di iniziativa civile, rappresentanti di gruppi di azione che lavorano in diversi paesi. Cioè, c’erano tutti. E in effetti, il tema principale della conferenza e l’idea principale di prima era che è necessario avviare una nuova fase di interazione tra il movimento civile russo in Europa e le strutture europee, tenendo conto che vi sarà per la Russia, nel lungo periodo, una seconda possibilità per democratizzazione. Queste sono le due linee adesso. E in questa prospettiva, è stata raggiunta l’interazione tra l’ufficio politico di Khodorkovsky, l’ufficio politico di Kasparov, l’ufficio politico di Natalia Arno, la Fondazione Russia Libera. Questo movimento sta ora ricevendo un’attenzione attiva a Parigi, Strasburgo, Berlino, Varsavia, Praga e Helsinki. Per non parlare dei paesi baltici.

Alexander Morozov, un famoso politologo russo, ex direttore del Russian Journal. Alexander vive a Praga dal 2014, dopo l’inizio dell’aggressione russa contro l’Ucraina. Collabora con la Fondazione Boris Nemtsov e la Charles University di Praga.

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